La superficie terrestre, intesa come una grande tela su cui intervenire facendo degli strappi/calchi, è il luogo fisico e psichico della mia ultima ricerca artistica.
La logica di recupero degli affreschi attraverso la settecentesca tecnica dello strappo viene da me rivisitata simbolicamente e, mutatis mutandis, tecnicamente.
L’azione creativa consiste esattamente nell’andare alla ricerca di porzioni orografiche, tracce, passaggi di vite umane e animali, oggetti sepolti e abbandonati, a volte privi di qualsiasi potere seduttivo che vengono letteralmente “strappati” con l’ausilio di resine poliuretaniche dai loro siti e, arrivati allo studio, dipinti con velature monocrome. Visivamente si potrebbero definire basso o altorilievi organici.
Come nel caso delle serie dedicate all’azione texturizzante della pioggia sulla sabbia e delle impronte delle reti da strascico sulla battigia, ciò che mi interessa ha quindi a che fare con cose minime, spesso nascoste, ma portatrici di un un lirismo silenzioso.
Psichicamente, uno sguardo rivolto in modo concentrato alla terra, al suo “salotto sotterraneo”, mi permette di strappare consapevolezza all’ horror pleni quotidiano. In questa serie di lavori il processo creativo stesso conta quanto l’oggetto finito. La dimensione ludica che lo caratterizza è soggetto stesso, ma implicito, delle mie intenzioni artistiche. Il corpo fisico coinvolto nell’azione di ricerca dello stimolo visivo, l’aspetto energetico più sottile dei pensieri e delle intenzioni progettuali stimolate da ogni nuova osservazione , l’aspetto coscienziale via via ancor più sottile di sospensione dei pensieri che a un certo punto si palesa e fa da substrato all’intera operazione creano un palinsesto progettuale che sfocia nella sintesi formale degli “strappi”.